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Hilde Lotz-Bauer
fotografare l’Italia di mezzo con «bravura»

Federica Kappler

 

Paper presentato da Federica Kappler per Dipartimento di Scienze Umane, Università degli Studi dell’Aquila, L’Aquila 30 settembre 2021

Desidero innanzitutto ringraziare i curatori, Serena Guarracino, Giuseppe Di Natale, Luca Pezzuto, per avere accolto la mia proposta e per avermi dato la possibilità di partecipare a questi importanti giornate e di poter parlare della figura e dell’opera di Hilde Lotz-Bauer. Approfitto inoltre di questo momento per ringraziare da subito la famiglia di Hilde: Corinna, Irene e Robbie i quali portano avanti un importante lavoro di studio, indagine e conservazione dell’archivio fotografico della madre e che sono stati preziosa fonte di informazioni e supporto nella preparazione di questo contributo – la maggior parte delle fotografe che vi mostrerò oggi sono tratte dal patrimonio fotografico che custodiscono.

Hilde Bauer, storica dell’arte e fotografa, nasce nel 1907 a Monaco di Baviera. Subito dopo aver conseguito il Dottorato con una tesi dedicata alla scultura dei fratelli Michael e Martin Zurn nel 1931 si iscrive all’Istituto bavarese di Fotografia a Monaco persuasa da suo padre, medico oftalmico, il quale desiderava che la figlia potesse acquisire competenze “pratiche” che le consentissero di essere lavorativamente indipendente, preoccupato dalle incognite che la carriera da storica dell’arte avrebbe potuto presentare.

Hilde frequenta dunque l’istituto di fotografia nel biennio 1931-33 e all’indomani del diploma dovrebbero risalire i primi progetti di foto d’arte realizzati per il Pommersches Landesmuseum di Stettin e il Berlin Staatliches Museum che constano di scatti dei manufatti d’arte raccolti nelle due collezioni museali.

Da questo momento la Lotz-Bauer, ai tempi ancora solo Hilde Bauer, intraprende la sua attività di fotografa d’arte, per la quale è soprattutto nota, mettendo consapevolmente lo strumento fotografico al servizio della storia dell’arte. La sua opera fotografica si caratterizza per l’adozione di precise inquadrature di dettagli, inconsuete angolazioni nonché l’utilizzo di strumenti espressivi artistici, e fu pertanto scelta per costruire le campagne fotografiche per le ricerche degli storci dell’arte attivi presso le importanti istituzioni tedesche in Italia, quali la Biblioteca Hertziana a Roma e il Kunsthistorisches Institut a Firenze che la giovane frequenta negli anni in cui arrivò a Roma, grazie ad una borsa di studio - una delle ultime ottenute senza l’obbligo di iscriversi al partito nazionalsocialista come avvenne a partire dal 1934.

Lettere e commissioni fotografiche testimoniano infatti il suo soggiorno in Italia a partire dalla fine del 1933 insieme al suo primo marito Bernhard Degenhart, storico dell’arte, al quale rimane legata sino al 1939, e per il quale realizza una serie di campagne fotografiche di corredo ai suoi progetti editoriali. Importanti e numerose sono le campagne fotografiche dedicate all’architettura e alle opere d’arte fiorentine e romane che realizza con storci dell’arte tra cui, solo per una breve citazione: con Werner Korte nel 1935, mentre nel 1939, in piena epoca del nazionalsocialismo, intraprende con l’allora direttore Leo Bruhns, un progetto di documentazione dei castelli di Federico II viaggiando in Puglia, e successivamente affianca il direttore dell’Istituto fiorentino Friedrich Kriegbaum in un progetto monografico dedicato all’architettura fiorentina.

Photo: Hilde Lotz-Bauer Photo: Hilde Lotz-Bauer

Firenze, Palazzo Strozzi, cortile, circa 1939

Firenze, Palazzo Vecchio, cortile di Michelozzo, circa 1939

Il secondo conflitto mondiale e gli eventi tragici che portò con sé contribuirono ad apportare una pausa nell’attività della fotografa che dopo essersi rifugiata in Austria e di nuovo a Monaco mosse in direzione degli Stati Uniti – e qui si dedicò all’insegnamento della storia dell’arte - al seguito del secondo marito, lo storico dell’architettura Wolfgang Lotz con il quale fece poi ritorno a Roma e proprio alla Biblioteca Hertziana nel 1962 a seguito della nomina di lui a direttore dell’Istituto.

È a questa produzione tutta degli anni Trenta a servizio della Storia dell’arte che sono dedicate le prime esposizioni in suo onore: tra tutte la prima a Firenze, a palazzo Strozzi, nel 1977 dal titolo “Architetture fiorentine”, con una selezione di opere che hanno come sola protagonista l’architettura immersa nel silenzio degli anni della guerra, “le uniche protagoniste di un fine discorso” per citare il quotidiano La Nazione che le dedica importante menzione. Queste stampe, ormai senza più lastre e dunque degli unicum irripetibili, sono state donate dalla fotografa agli istituti tedeschi di Roma e Firenze; il Kunstihistorisches Institu in particolare, oggi conserva il fondo Hilde Lotz-Bauer, arricchitosi negli anni, con circa 700 fotografie che sono in parte state presentate al pubblico in occasione di una recente mostra per il centesimo anniversario della sua nascita e che ha contribuito a far conoscere la Bauer nel panorama della fotografia internazionale.

Quanto fin qui premesso è fondamentale per presentare oggi, in questa occasione, un altro lato dell’attività di questa straordinaria fotografa, in parte meno conosciuto e sicuramente più intimo, che, in questi anni in cui la fotografia di documentazione dell’opera d’arte diviene a tutti gli effetti la sua professione, comincia a dedicarsi a nuove esplorazioni fotografiche che sperimenta grazie e attraverso il viaggio. Una volta giunta in Italia, probabilmente seguendo le tracce di chi prima di lei aveva intrapreso e raccontato con le parole e le immagini paesaggio, ma soprattutto la vita, di quei centri meno battuti dell’Italia di mezzo, anche Hilde intraprende il suo petit tour attraversando l’Italia centrale spingendosi anche oltre: dall’Alto Lazio all’Abruzzo, l’Umbria e le Marche, per poi proseguire verso la Campania e ancora oltre, in Sicilia. Sono più di 100 i luoghi che visita tra 1934 e 1939 come stimato dalla famiglia Lotz grazie alla creazione di un database dedicato che ha consentito una mappatura dei luoghi fotografati e che continua ad essere incrementato attraverso il progetto di studio e digitalizzazione delle stampe da loro possedute.

La scoperta di questi luoghi e delle loro genti è impressa in circa 7000 negativi conservati oggi nell’archivio del fotografo tedesco Franz Schlechter a Heidelberg, gran parte inedito e custodito come un vaso di Pandora, oltre che in centinaia di stampe originali preservate appunto nell’archivio Lotz-Bauer. E venne alla luce quasi per caso nel momento in cui la fotografa ormai ottantenne si rivolse al fotografo di teatro Franz Schlechter per una valutazione circa lo stato di conservazione dei numerosi negativi in pellicola (a cui li ha poi donati) e sul loro possibile recupero attraverso la stampa; affascinato dalla visione di questo enorme e preziosissimo racconto fotografico, Schlechter si adoperò per lo sviluppo di una selezione di 70 negativi portati in stampa con l’obiettivo di mostrarli al grande pubblico attraverso l’organizzazione di una mostra che si tenne nel 1993 al Mannheim Reiss Museum. Di questa piccola selezione di opere fotografiche, cui molte dedicate a Roma, si trovano anche alcuni scatti dai borghi dell’Italia centrale di cui ve ne mostro un paio di cui non si conosce ancora la localizazzione precisa seppur appartengano all’Italia centrale, ma che come vediamo mostrano subito l’interesse di Hilde per la condizione umana, in senso ampio Oltre alla totale partecipazione e presenza della fotografa pur nella forma più discreta, e la volontà di ritrarre la realtà senza ricerca di glorificazione, aspetti che caratterizzano tutto il suo racconto fotografico.

La selezione che vi presento oggi è per la maggior parte dedicata all’Abbruzzo e ai suoi borghi che la Lotz-Bauer ha visitato e vissuto a più riprese. Molto probabilmente il suo viaggio è cominciato dall’Alto Lazio, e su questo torneremo a breve, ed esistono fotografie di molti luoghi di questa regione tra cui Bracciano, Olevano Romano, Subiaco ma ancora non digitalizzate perché i suoi archivi sono vivi e in lavorazione.

Protagonisti dei suoi scatti sono sicuramente il paesaggio, qui vediamo foto tratte da Magliano dei Marsi, la centralità del Monte Velino, Tagliacozzo e L’Aquila, ma soprattutto la gente comune. La curiosità antropologica emerge dai suoi scatti, volta a fermare le impressioni di ciò che incontra nei paesi e nelle campagne del centro Italia. La figura umana, con tutta la sua storia, diviene fonte d’ispirazione e centro delle sue riprese, una presenza che fa da contraltare alla fotografia di documentazione, in cui l’opera architettonica è protagonista assoluta della scena.

L’intero reportage è eseguito con la Leica, macchina fotografica di piccolo formato, leggera maneggevole e veloce che utilizza un rullino in pellicola e non più le lastre in vetro - che comunque la Bauer continua a usare per la documentazione d’arte- , questa macchina fotografica consentirà di tradurre ciò che vediamo anche noi attraverso queste fotografie: ovvero cogliere delle immagini vere, vive straordinarie come quelle che stiamo guardando, in cui la fotografa è totalmente partecipe ma al contempo riesce a mantenersi defilata, veloce, se necessario invisibile. Risaltano l’assoluta partecipazione ma anche discrezione.

In italienischen Bergnestern

Sicuramente ogni immagine si costruisce anche grazie al bagaglio di riferimenti culturali che la donna porta con sé: Corinna Lotz ha suggerito che le impressioni di ciò che aveva visto nei paesi e nelle campagne italiane poteva essere stato colorato dalle storie di Ignazio Silone la cui opera Fontamara, già pubblicato in Svizzera nel 1933, si era diffusa negli ambienti di lingua tedesca nel 1936 riscontrando un forte successo. Il bagaglio culturale personale deve avere posto anche le basi del percorso da seguire alle origini: alcune indicazioni bibliografiche come un saggio fotografico in un giornale tedesco ci suggeriscono che la frequentazione dell’Abbruzzo deve essere cominciata tra il 1935 e il 1936. Le fotografie che corredano il saggio riportano infatti il nome delle autrici da sposate: Helga Franke, che diventa Franke nel 1935 e Hilde si lega a Degenhart nel 1934. E il racconto fotografico è dedicato per lo più a scorci paesaggistici dei Monti Sabini, in particolare Olevano Romano, e di Scanno. Focus del piccolo reportage è cogliere la particolarità delle tradizioni, così come il folklore, presente in queste aree di montagna: le donne e i bambini di Scanno, le donne di Scanno con i loro costumi tipici, lo vago nella quotidianità del villaggio, per citare la didascalia, “con i suonatori di cornamusa, che in pianura non si incontrano praticamente più, ancora attraversano questi territori montuosi”. Una continua scoperta di un mondo ricco di tradizioni che sembra essere sospeso nel tempo.

È plausibile pensare che il viaggio di Hilde sia partito da questi luoghi con l’obiettivo di vedere e documentare con il proprio sguardo, anche con un risvolto professionale come la pubblicazione su una rivista, le tradizioni e il folklore di alcuni luoghi già raccontati prima di lei. Tra gli scatti delle due fotografe ve ne è una mostra la vista dalla Casa Baldi a Olevano Romano, punto d’incontro e luogo di ospitalità per tutti gli artisti tedeschi che da più di cento anni frequentavano questi territori alla ricerca d’inspirazione per la loro pittura eroica. Se ingrandiamo poi la fotografia di panorama con le case arroccate di Olevano viene immediatamente alla mente il raffronto con uno dei dipinti di Alexander Kanoldt, pittore e accademico tedesco, che tra il 1924 e il 1925 dipinge una serie di vedute del borgo rifacendosi al pittore tedesco Franz Horny, tra i pittori della cerchia dei nazareni che dal 1817 aveva cominciato a frequentare il paese di Olevano insieme ad altri amici artisti della stessa cerchia quali Koch e Reinhart, i quali amavano questo – e cito “paese incantato i cui paesini sorgono in cima alle rocce come nidi di rondine … tutta la contrada è altrettanto fantastica che guardando i disegni in Germania non la si potrebbe creder vera.” Certamente questa serie di immagini doveva fare parte del suo bagaglio culturale di storica dell’arte ed è presumibile che questa tradizione pittorica oltre alla dimensione fantastica e quasi idillica che ci restituiscono i dipinti e la penna di chi li aveva già percorsi devono essere le basi di un sentiero che Hilde deve aver seguito nell’intraprendere il suo viaggio.

Olevano Romano
Sinistra: Foto Helga Franke; Destra: Aleksander Kanoldt, Olevano Romano, 1925

Nell’andare avanti con la selezione di foto arriviamo ad un altro tema ricorrente nell’opera di Hilde: con occhio social-critico la macchina fotografica di Hilde Lotz Bauer ha colto le attività e le fatiche quotidiane di luoghi incontaminati dal vivere frenetico moderno, sapendo porre in evidenza il ruolo del femminile all’interno di questi contesti. Il nucleo più completo, possiamo dire, in termini di progettazione è formato dalle foto che la Bauer dedicò alle donne di Scanno, la cui umanità e dignità, oltre che motore del proprio territorio, erano già state raccontate piene di fascinazione dalle parole di Anne Macdonnell nel suo In the Abruzzi:

Nei giorni di festa è possibile vederle in gruppi di dieci o venti sulle scale di pietra, mentre si raccontano storie o si riposano nella loro posizione preferita, che è comune a tutte quando sono in chiesa, accovacciate sul pavimento con le gambe incrociate

Photo: Hilde Lotz-Bauer Lazio 1930s

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Palazzo Grilli, Pescocostanzo in sottofondo (individuato da Daniele Giorgi tra il pubblico dopo La presentazione di Federica Kappler)

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Tagliacozzo, Monte Velino, 1937

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Lago di Scanno

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Magliano dei Marsi

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer  Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Vecchio pastore abbruzzese, 1934

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Scanno

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Magliano dei Marsi

Photo: Hilde Lotz-Bauer
Scanno

Photo: Hilde Lotz-Bauer
L’Aquila

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer  Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer

Photo: Hilde Lotz-Bauer   Photo: Hilde Lotz-Bauer

E ancora

La sua principale caratteristica sta nel portamento lungo le strade di montagna, quando trasporta sul capo le fascine, o lungo le vie acciottolate con le conche d'acqua sulla testa ... La forza che ha è impressionante. Qui è la donna che cucina, che tesse, che sferruzza, che colora le stoffe e fa tutto questo come una cosa naturale. In estate raccoglie la legna da ardere per il lungo inverno, lavora nei campi, custodisce le greggi e, se occorre, diventa muratore... L'autosufficienza di cui Scanno gode si deve quasi interamente alle svariate capacità delle donne che nelle case cardano, colorano, filano, tessono la lana per farne abiti coperte, tappeti, copriletti, calze nastri. A questo punto qualcuno potrebbe pensare che la loro è una vita da schiave, ma le donne di Scanno possono sembrare tutto meno che schiave. Hanno piuttosto un'aria regale e non ho mai visto tante regine tutte insieme, come in questo posto. Esse sono i pilastri del paese e sono pienamente consapevoli del loro valore e della loro importanza nella famiglia.

Come ha già riconosciuto Tamara Hufschmidt – che con lungimirante dedizione ha riordinato e studiato il fondo Lotz-Bauer posseduto dal Kunsthistorisches Institut di Firenze e che con l’aiuto della famiglia della fotografa e per volontà del sindaco di Scanno ha riportato una selezione di questo nucleo di opere “scannesi” nei suoi luoghi d’origine attraverso l’organizzazione della mostra “Orme di donna” del 2008, gli scatti di Hilde sono colti con una medesima lente, quella della critica sociale e quella storica dell’arte. Colte con assoluta discrezione nella loro quotidianità, intente nello svolgere i loro mestieri in un tempo che agli occhi di una donna tedesca e cosmopolita come la Bauer doveva sembrare cristallizzata in una dimensione arcadica – la stessa che, come detto, aveva affascinato una lunga tradizione artistica che aveva attraversato quei luoghi prima di lei. La fatica, la difficoltà e spesso la povertà trapela dai suoi scatti, niente viene edulcorato ma raccontato così come è restituendo al contempo l’assoluta dignità di queste donne che sono trasformate in regine, esattamente come ce le descrive la Macdonnell. Da ogni immagine trapela l’individualità, la fierezza; appaiono come delle icone immortali di un tempo passato ma attuale, reso quasi immortale.

Cartier-Bresson & Giacomelli
Cartier-Bresson & Giacomelli

Italo Zannier, storico dell’arte e storico della fotografia, nel recensire la mostra dedicatale dall’Istituto tedesco fiorentino nel 2007 si chiede se fotografi come Henri Cartier-Bresson e Mario Giacomelli che avevano percorso quelle stesse vie di Scanno subito dopo il secondo conflitto mondiale, dando testimonianza “al maschile” delle scene di vita e di lavoro di quei luoghi con quegli scatti che hanno avuto grande fortuna i cui bianco nero danno contrasto così duro e quasi esasperante, avessero visto l’opera della Lotz-Bauer di venti anni prima, prima che arrivasse il Neorealismo e prima che la fotografia di reportage prendesse sempre più piede, prima ancora che Scanno divenisse il borgo prescelto da altri grandi fotografi tanto da inaugurare in anni non troppo lontani la cosiddetta strada dei fotografi. La domanda resta senza risposta, certo è che Hilde Lotz-Bauer va considerata una pioniera. E’ infatti una pioniera nell’utilizzo della Leica, è una pioniera nell’aver deciso di intraprendere questa serie di viaggi per lo più da sola e nel decidere di documentare con il suo intimissimo sguardo la vita non solo delle realtà montanare del centro Italia ma la storia dell’intero paese, e non solo, restituendoci per sempre un documento dal valore inestimabile, mai compiuto in ambito fotografico prima di lei, facendole occupare a pieno posto di emergente nel panorama storico della fotografia mondiale e non soltanto di quella femminile, per tornare alle parole di Italo Zannier. Ma soprattutto attraverso la fotografia dà forma al suo personalissimo sguardo che ricco di suggestioni traccia un nuovo sentiero per raccontare con le immagini ciò che altri viaggiatori, ma soprattutto viaggiatrici, avevano dipinto prima di lei.

Photo: Hilde Lotz-Bauer

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